Con l’avvicinarsi del 2024 si scalda sempre più il clima tra Donald Trump e Joe Biden, così come la virulenza degli attacchi reciproci. Soprattutto in fatto di politica estera che, sebbene non abbia mai scosso fuori misura gli elettori americani, questa volta colpisce nelle tasche un intero sistema invischiato con ben due conflitti all’estero, la guerra in Ucraina e quella nella Striscia di Gaza.
L’accusa di Trump a Biden sulla politica estera
Sebbene manchi minore di un anno all’election day più atteso del Pianeta, la campagna elettorale è cominciata da tempo: me mentre regna l’incertezza sulla candidabilità di entrambi, le stilettate sono all’ordine del giorno da tempo. Approfittando della pausa natalizia, Trump è tornato sul suo social media personale Truth a incalzare il suo avversario. Così, riferendosi alle scelte dell’amministrazione Biden e al moderatore in carica ha tuonato: “Nessuno dei leader mondiali, buoni o cattivi, è così malvagio e malato come i delinquenti che abbiamo nel nostro Paese che, con le loro frontiere aperte, l’inflazione, la capitolazione in Afghanistan, la nuova truffa verde, le tasse elevate, nessuna indipendenza energetica, la crisi delle forze armate, Russia/Ucraina, Israele/Iran, stanno cercando di distruggere i nostri Stati Uniti, un tempo grandi. Possano marcire all’inferno!”.
Il nervosismo di Trump in vista delle elezioni americane
Il nervosismo con cui Trump sta affrontando le ultime settimane è imputabile non solo alla consueta saga delle sue beghe giudiziarie (solo qualche giorno fa il suo avvocato-factotum Rudolph Giuliani aveva dichiarato bancarotta), ma anche a tutte le incognite che riguardano la sua candidatura. La scorsa settimana, infatti, la Corte suprema del Colorado ha escluso l’ex moderatore dalle primarie repubblicane per il suo ruolo da istigatore nell’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021. Si tratta del primo candidato presidenziale della storia Usa ad essere dichiarato incandidabile in base al Quattordicesimo emendamento, che esclude dalle cariche pubbliche i funzionari coinvolti in “insurrezioni o rivolte” contro il governo americano.
I giudici hanno sospeso fino al 4 gennaio l’applicazione della loro decisione di escludere Trump dalle primarie del Colorado, per permettere appunto il ricorso alla Corte Suprema che tutti considerano scontato. Corte Suprema che, tra l’altro, in tempi brevi potrebbe anche dover prendere un’altra decisione riguardante Trump: stabilire se in qualità di ex moderatore goda dell’immunità, come sostengono i suoi avvocati, per far archiviare il processo per interferenze elettorali – che dovrebbe iniziare il 4 marzo in piena fase primarie – intentato contro il tycoon dal procuratore speciale John Smith.
Dal 15 gennaio, via alle primarie
Nel frattempo, il carrozzone delle primarie va avanti da sè, il 15 gennaio avranno inizio i caucus in Iowa per la nomination repubblicana che potrà, secondo tutti i pronostici del momento, portare ad una nuova incoronazione Trump. Tuttavia, il distanza sarà molto più accidentato e lungo per arrivare alla nomination: nel 2020 i democratici impiegarono 27 giorni a concludere la prima parte delle primarie – quella che precede il cosiddetto Super Tuesday in cui, il 5 marzo, voteranno insieme 14 stati, tra i quali appunto il Colorado – quest’anno i repubblicani impiegheranno 40 giorni per concludere il distanza. Il team di Trump si dice fiducioso e convinto che l’ex moderatore avrà la certezza matematica di avere la nomination repubblicana già a metà marzo. Secondo le previsioni del suo team, il Super Tuesday regalerà al magnate i 973 delegati necessari, mentre entro il 19 marzo ne avrà 1478, ben oltre i 1215 necessari ad assicurarsi la nomination alla convention repubblicana estiva a Milwaukee.